Riporto di seguito l’articolo scritto per il blog del master di neuroscienze cliniche della LUMSA e Humanitas. Chi interessato a visionare l’intero blog, può cliccare sul link in calce.
Negli ultimi due decenni, diverse evidenze scientifiche hanno suggerito l’esistenza di una correlazione tra la variabilità della frequenza cardiaca (HRV) e le funzioni prefrontali, così come tra la variabilità della frequenza cardiaca e le dimensioni psicopatologiche. Nello specifico, i dati sembrano supportare l’ipotesi che una bassa variabilità della frequenza cardiaca correli positivamente con peggiori performances delle funzioni esecutive (soprattutto working memory), peggiore regolazione emotiva e alcune dimensioni psicopatologiche, soprattutto per quanto riguarda i processi inibitori. Paradigma di riferimento per lo studio di tali correlazioni risulta essere il modello neuroviscerale integrato messo a punto da Thayer, che fornisce un adeguato framework per la comprensione delle complesse correlazioni esistenti tra cuore e cervello. Questo modello, riprende il lavoro di Benarroch (Bennarroch, 1993) sul Central Autonomic Network (CAN) che include diverse regioni cerebrali, in particolare: la corteccia cingolata anteriore, quelle insulare, la corteccia prefrontale orbito-ventromediale, il nucleo centrale dell’amigdala, i nuclei paraventricolari e quelli ipotalamici, il nucleo del tratto solitario, il nucleo ambiguo, la medulla ventrolaterale e mediale e l’area tegmentale ventrale. Secondo Thayer, il CAN è parte integrante di un complesso sistema regolatorio attraverso il quale il cervello controlla le risposte visceromotorie, neuroendocrine e comportamentali, essenziali per i comportamenti goal-directed (Thayer and Lane, 2000). Di fatto, appare abbastanza immediato comprendere come tutte queste regioni, insieme, intervengano nel modulare il comportamento umano, connettendo funzioni esecutive (cortecce prefrontali), emozioni (nuclei centrali dell’amigdala), reazioni fisiologiche (nuclei ipotalamici) e risposta autonomica attraverso l’attività vagale (nucleo ambiguo), così come dimostrato da Porges (Porges, 1995). Nei suoi studi, Thayer evidenzia un interessante collegamento tra stress, variabilità della frequenza cardiaca (HRV) e deficit cognitivi: sembra che lo stress determini un abbassamento della variabilità della frequenza cardiaca che, a sua volta, si rispecchia in uno scadimento delle funzioni cognitive superiori. Al contrario, soggetti con un’elevata variabilità della frequenza cardiaca (data da una buona preparazione atletica) sembrano possedere maggiori competenze di coping, unitamente a migliore prestazioni neuropsicologiche (Thayer et al, 2009). Addirittura, egli arriva a postulare una bassa variabilità della frequenza cardiaca quale endofenotipo per una serie di disordini psicopatologici (Thayer and Lane, 2009). Questi esiti risultano essere di fondamentale importanza per un approccio integrato e non settoriale alla psicopatologia: comprendere che disordini cognitivi, emotivi e comportamentali risultano esito di un complesso network di funzionamento a livello cerebrale e autonomico, ci permette di avere una visione esplicativa utile per mettere a punto modelli di intervento mirati sia a livello farmacologico che psicoterapico.
Dott.ssa Lorena Angela Cattaneo,
psicologa e psicodiagnosta, esperta in neuro-psicopatologia
REFERENCES
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Benarroch E.E., The Central Autonomic Network: functional organization, dysfunction and perspective, Mayo Clin Proc, 68:988-1001, 1993
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