Gli abusi sessuali sui minori sono, purtroppo, condotte comuni in tutto il mondo. Proprio a seguito di ciò, negli ultimi due decenni si sono moltiplicati gli studi sulla pedofilia, anche se molti di questi sono minati da alcuni vizi di fondo: campioni spesso ridotti che non permettono generalizzazioni, campioni costituiti solo da soggetti carcerati e/o condannati per pedofilia, campioni costituiti esclusivamente da maschi (poco si sa sugli offenders di sesso femminile, perché molto scarse sono le denunce in questo campo). Ancora, i nuovi studi di neuroimaging spesso si concentrano su casi singoli, come ad esempio il recente e comunque interessante studio italiano condotto da Rainero et al nel 2011(1), che riporta una certa correlazione tra esordio tardivo di tendenze pedofile eterosessuali e successivo manifestarsi di demenza fronto-temporale in associazione con la mutazione del gene PGRN implicato, tra le altre cose, nella maturazione dello sviluppo di comportamenti legati al dimorfismo sessuale. (case-study su un paziente maschio di 49 anni).
Purtuttavia, seppur sono presenti vizi di forma nelle ricerche sopra citate, è altrettanto vero che queste risultano di rilevante importanza, in quanto segnano il passo e tracciano la strada per compiere studi più approfonditi con campioni sempre più affidabili sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo nel campo del comportamento umano deviante.
Secondo la più recente edizione del manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali (2), il “Disturbo pedofilico” necessita, per la diagnosi psicopatologica, che il soggetto in questione manifesti i seguenti caratteri:
– eccitazione sessuale ricorrente ed intensa manifestata attraverso fantasie, desideri o comportamenti, per un periodo di almeno 6 mesi, che comportano attività sessuale con un bambino in età prepuberale o con bambini puberi (in genere comunque sotto i 13 anni di età);
– attuazione di tali desideri sessuali, oppure tali desideri e/o fantasie sessuali causano marcato disagio o difficoltà interpersonali nel soggetto;
– il soggetto ha almeno 16 anni di età ed è di almeno 5 anni maggiore del bambino e dei bambini abusati.
Da quanto sopra descritto, si può notare come, a livello psichiatrico, la comunità internazionale scientifica definisca un soggetto pedofilo come: soggetto di almeno 16 anni di età e di almeno 5 anni maggiore della vittima, attivo dal punto di vista sessuale (sia a livello libidico che a livello comportamentale) nei confronti di un bambino prepubero e/o pubero (non comunque con età superiore ai 13 anni di età) per un periodo continuativo di almeno 6 mesi.
Inoltre, sempre il DSM 5 ci chiede di specificare se il potenziale soggetto pedofilo è attratto esclusivamente da bambini, oppure conduce un’attività sessuale mista (bambini ed adulti), se è sessualmente attratto da maschi, femmine (pare vi siano differenze anche a livello morfofunzionale cerebrale rispetto a tali preferenze) o da entrambi i sessi indifferentemente, oppure ancora se l’attacco sessuale avviene esclusivamente come forma di incesto. In quest’ultimo caso pare giochino un ruolo rilevante le variabili ambientali di riferimento in cui è cresciuto il soggetto.
Così come sopra specificato, negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi su soggetti pedofili. In genere gli studi in questo campo sono stati condotti con fallometria e pletismografia. Quest’ultima metodica di indagine mira a registrare graficamente i cambiamenti di volume di un organo dato dalle variazioni del rispettivo contenuto di sangue, mentre la fallometria registra il flusso emodinamico dei corpi cavernosi del pene. In sostanza, i soggetti definiti pedofili vengono valutati con queste metodiche mentre vengono fatte loro visionare immagini erotiche inerenti bambini. In seguito, tali risultati vengono associati ai differenti livelli di risposta sessuale manifestata. Anche la preferenza pedofila del genere sessuale (maschio o femmina) viene “testata” con questi strumenti, misurando i tempi di reazione dei soggetti studiati davanti ad immagini di bambini di sesso maschile e/o di sesso femminile.
A questi studi “classici” sono da aggiungere gli interessanti studi di neuroscienze, che utilizzano le neuroimaging per valutare eventuali anomalie morfofunzionali encefaliche in soggetti con manifestazione comportamentali pedofiliche. Ad esempio uno studio di Peoppl et al. (3) evidenzia differenze morfofunzionali tra il gruppo di soggetti definiti pedofili ed il gruppo di controllo non pedofilo, nel giro del cingolo e nella regione insulare: in sostanza nei soggetti con tendenze pedofile si è registrata, rispetto al gruppo di controllo, un’aumentata attività emodinamica nelle aree che processano stimoli sessuali visivi.
Ancora, la presenza di un pattern specifico di attivazione cerebrale nei pedofili sottoposti a stimoli erotici sembra confermata dagli studi di Ponseti et al. (4): attività preferenziale nel nucleo caudato, nella corteccia cingolata, nell’insula, nel giro fusiforme, nella corteccia temporale, in quella occipitale (dunque ancora elaborazione di stimoli visivi), talamo, amigdala e cervelletto.
Sono stati poi condotti anche degli studi a livello cognitivo sui soggetti pedofili, purtuttavia allo stato attuale gli esiti sono controversi e bisognosi di ulteriori approfondimenti.
L’insieme degli studi sopra citati porta ad accreditare la valenza di un approccio bio-psico-sociale allo studio dell’essere umano. Gli studi di neuroimaging morfo-funzionale risultano infatti una necessaria integrazione alle metodiche ad oggi utilizzate per cercare di comprendere il comportamento pedofilico. Riuscire a definire quale substrato neurologico risiede alla base di certi comportamenti devianti, può infatti fornire importantissime informazioni per il trattamento clinico. Ad oggi, infatti, la pedofilia è uno dei disturbi totalmente refrattari alla psicoterapia utilizzata come metodo esclusivo di intervento, per cui, probabilmente, è davvero necessario l’utilizzo di un mediatore chimico (farmaco) per cercare di contenere tale patologia. Si tratta di capire esattamente quale molecola può essere utile su quale substrato neurologico e da qui l’importanza delle ricerche in ambito neuroscientifico. La psicoterapia, a corredo, sicuramente può avere un proprio ruolo nel trattamento, ma va vista come un metodo all’interno di un approccio integrato di tipo bio-psico-sociale, in caso contrario gli interventi risulteranno settoriali e di scarso se non nullo impatto ecologico.
dott.ssa Lorena Angela Cattaneo
Psicopatologo Forense
Esperta in Neuroscienze Cliniche del Comportamento
References:
(1) Rainero I, Rubino E, Negro E, et al.: Heterosexual paedophilia in a frontotemporal demenetia patient with a mutation in the progranulin gene, Biol Psychiatry 2011, 70:43-4
(2)American Psychiatric Association, Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, Quinta Edizione, Raffaello Cortina Editore, 2014
(3) Poeppl TB et al., Functional cortical and subcortical abnormalities in paedophilia: a combined study using a choice reaction time and fMRI, Sex Med 2011-, 8: 1660-74
(4)Ponseti et al., Assessment of paedophilia using hemodynamic brain response to sexual stimuli, Arc. Gen. Psychiatry, 2012, 69:187-94